Fabio FIGARA, La grande stagione dell'eremitismo in Occidente tra i secoli XI-XIV
Parte I: UN'INTRODUZIONE
L’eremitismo è un fenomeno che riprende nuovamente vigore nei secoli centrali del Medioevo. Poco conosciuti o addirittura totalmente sconosciuti dai più, gli eremiti rappresentano una delle caratteristiche fondamentali del Medioevo.
Spiega Cinzio Violante nel discorso di apertura della Seconda settimana internazionale di studio tenutasi a Mendola tra il 30 agosto ed il 6 settembre 1962: «rifiorito verso la fine del secolo X, l’eremitismo in Occidente sfocia in gran parte nei movimenti e negli Ordini Mendicanti all’inizio del secolo XIII».
Esistono dei caratteri peculiari che, grosso modo, accomunano tutti, ed altri singolari, propri di un determinato "tipo" di eremita. Tuttavia è pura utopia tentare di scrivere esaurientemente su tutte le tipologie dell'eremitismo e su tutte le varie sfaccettature, siano esse legate al luogo di azione di un eremita o alle caratteristiche dell’asceta stesso. Questo perché solo di un’esigua parte di essi possiamo rintracciare documentazione: una vita (scritta magari da qualche discepolo), il processo di una beatificazione, anche soltanto una traccia nei registri di qualche abbazia o monastero, i resti di un eremo.
Come ricorda Jean Leclerq nel saggio L’Eremitisme en Occident jusqu’à l’an mil, possiamo studiare i caratteri assunti da questo fenomeno nel corso del Medioevo partendo dalle caratteristiche comuni e costanti desunte dalle fonti storiche o archeologiche.
Ciò che accomuna principalmente gli eremiti è la ricerca spasmodica della povertà assoluta, l’aspetto peraltro più severo del vasto movimento pauperistico che dopo il Mille comincia ad animare movimenti riformatori in ambienti popolari, soprattutto come contrasto ai vizi in cui sono caduti gli enti ecclesiastici in seguito al loro inserimento nell’economia curtense e nelle strutture sociali. Seguire anzitutto gli orientamenti della comunità apostolica primitiva, mettendo in comune i beni e vivendo di quel poco che necessita, e appunto aderire ad una vita di povertà assoluta sono i principi degli eremiti e, in seguito, degli stessi Ordini Mendicanti.
Parte II: il luogo della penitenza
Inizialmente solo nel monachesimo benedettino era prevista la pratica dell’ascetismo di singoli cenobiti al fine di raggiungere un elevato grado di perfezione spirituale e individuale. Ma ciò non era più sufficiente per le nuove esigenze dell’epoca.
Nei secoli XI e XII si provò così a realizzare una forma di vita ascetica severa, pur permanendo all’interno del cenobio. Ma ordini come quello vallombrosano e cistercense, che pure si erano imposti tali regole e che avevano riorganizzato le proprie strutture in tal senso, non durarono a lungo nella renovatio spirituale, e finirono per acquisire chiese, priorati e quant’altri privilegi poterono.
Sappiamo, a sostegno dell’affermazione suddetta, che un cavaliere inglese di nome Guglielmo (William o Guillaume), decise di abbandonare la spada per dedicarsi alla vita eremitica. La sua scelta, il suo cambiamento attirarono le attenzioni del cappellano di corte Ernisius, il quale, incontrato Guglielmo, decise di condividere con lui l’esperienza ascetica suprema. Ma dopo un po’ decisero di passare alla via cenobitica (come nota Hubert Dauphin nel saggio L’érémitisme en Angleterre aux XIe et XIIe siècles, è uno dei rari casi in cui il percorso spirituale avviene all’incontrario) e, ottenuto l’assenso dell’arcivescovo di Canterbury S. Anselmo, dovettero decidere l’ordine. E qui iniziarono i problemi: esclusi i benedettini, per le loro ricchezze eccessive, esclusi i cistercensi, per la loro mancanza di comunicazione con gli altri religiosi e in un momento in cui stavano aumentando esageratamente i loro possedimenti, restavano i canonici regolari.
Già nel 1145 molte comunità eremitiche nate in Francia, all’aumentare dei confratelli, divennero cenobi veri e propri, e si legarono a Cìteaux, a Prémontré o a Cluny. In Toscana la comunità di asceti sorta a seguito della morte di san Galgano, di cui seguiva l’esempio di vita, fu inglobata dall’ordine cistercense.
Ma l’eremitismo solitario, e spesso indipendente da qualunque istituzione, desidera soltanto l’esperienza mistica del colloquio con Dio e nient’altro. L'eremita vuol rimanere solo ed in costante contatto con Dio, solo nelle intemperie, solo nella fame, solo nella lotta con il demonio. Così e in nessun altro modo può raggiungere la perfezione: tramite la sofferenza, tramite il martirio, quest’ultimo apice del lungo processo di perfezionamento spirituale che passa attraverso il cenobio e l’eremo, così come scriveva Bruno di Querfurt, arcivescovo e missionario alla corte di Ottone III, divenuto in seguito eremita.
Pure Ottone di Frisinga, nella sua Ottonis episcopi Frisingensis Chronica sive Historia de duabus civitatibus, terminata nel 1146, glorificò l'eremitismo. Alla fine del settimo libro egli esalta i monaci del suo tempo in quanto ultimi ed ormai unici veri cittadini della Civitas Dei in un mondo di decadenza, la cui fine è individuata da Ottone come prossima.
Egli da giovane divenne cistercense a Miramondo ma, a causa della lotta tra il fratello, che era margravio d’Austria, ed Enrico il Fiero per il Ducato di Baviera, Ottone dovette diventare vescovo di Frisinga nel 1138, in seguito principe dell’Impero e comandante dell’esercito nella seconda crociata.
E, nell’enumerare i diversi ordini creatisi nel suo tempo, ricorda gli anacoretae et solitarii i quali, pur inferiori di numero, sono uguali se non superiori ai monaci per il rigore e la durezza della loro vita, sia che vivano con pochi fratelli o che siano soli e abbandonati in caverne o in capanne.
Molteplici sono le occasioni di apostolato degli eremiti: predicazione della perfezione dello stato eremitico, conversione degli infedeli, riforma delle comunità monastiche corrotte, correzione dei costumi cittadini, ristabilimento della pace tra fazioni nelle lotte comunali, recupero di eretici e scomunicati, esortazioni ai pellegrinaggi, bando delle Crociate. E l’impegno dell’apostolato è molto più accentuato nei secoli XI e XII che non nei precedenti.
Anche se c’erano già stati nel IX e nel X secolo dei tentativi di raggiungere la perfezione ascetica distaccandosi dal cenobio, ciò non era mai avvenuto del tutto in quanto il vincolo di obbedienza all’abate permaneva.
La differenza, nei due secoli successivi, è che l’eremita dell’XI o del XII o del XIII secolo è spesso un laico, e quindi non ha una vita precedente legata ad un cenobio o ad un qualunque altro ordine.
E lo si vede anche nella letteratura: se nel IX secolo Grimlaico aveva riconosciuto nella sua Regula Solitariorum che l’itinerario perfetto all’eremo era il passaggio dalla vita cenobitica, nei secoli successivi Romualdo e Pier Damiani scrivevano che ciò non era assolutamente necessario.
Soluzione meravigliosa di questa diatriba che oggi definiamo storica furono proprio gli Ordini Mendicanti, in cui la vita comune, seppur in forme originali, poté accordarsi con l’assoluta povertà.
Per compiere uno studio approfondito dell’identità degli eremiti bisogna trarre dai singoli casi delle regole generali. Anzitutto è il luogo in cui l’asceta decide di vivere che lo differenzia dagli altri. Oggi diremmo “eremo” per indicare una sorta di monastero di piccole dimensioni, o anche una semplice cappella se non una cella, posto in luogo sperduto e difficilmente raggiungibile.
Ma questa è una differenza che corre soprattutto sui vari significati assunti dal termine eremus nel corso dei secoli. In epoca patristica il termine eremus rievocava piuttosto il luogo – spesso proprio un deserto – e altresì il simbolo della renovatio spirituale che porta ad una maggiore conoscenza e coscienza del Verbo, e rappresenta il miglior modo di rivivere e di apprezzare le Scritture, compiendo i percorsi – fisici e spirituali – dei Profeti come Elia, Mosè e Giovanni Battista, e permettendo di partecipare alla solitudine di Cristo nelle notti di preghiera e durante la Sua Passione; in seguito l’eremus rappresentava ormai uno stile di vita, non più solo un luogo o un percorso spirituale. E si faceva largo la distinzione tra l’anacoreta e coloro che desideravano ricercare un rapporto più stretto con Dio tramite la vita comunitaria: e così se l’ermite era un individuo solitario che viveva in completa solitudine o tutt’al più con uno stretto numero di compagni, troviamo già coscienza del cenobium, comunità di solitaires che, insieme, ricercavano appunto l’unione con Dio tramite la vita semplice e la preghiera.
Approssimativamente tra il VI ed il X secolo si ebbe una completa differenziazione tra eremitismo e monachesimo. Il sostantivo eremus assunse ancora una connotazione più precisa. La terra erma si opponeva alla terra culta o culturata: la prima era incolta, non lavorata, completamente abbandonata, addirittura inabitabile. Solo dall’XI secolo il termine eremus è utilizzato per indicare anche i siti monastici.
E non è detto che esso sia comunque definitivo. Guglielmo di Malavalle, prima di stabilirsi nello Stabulum Rodis, fa la spola tra due o tre luoghi differenti.
La scelta del luogo è però compiuta dall’eremita con attenzione: più il luogo è inabitabile, più è conforme al nuovo stile di vita. I patimenti al quale va incontro un eremita sono ben evidenziati nel processo di beatificazione di san Galgano, il quale si era rifugiato su un’altura, Montesiepi, dopo che l’Arcangelo Michele gli aveva fornito in sogno indicazioni più che precise. Questo è un luogo considerato, nel XII secolo, abitato da spiriti maligni.
Nella deposizione della madre di Galgano, Dionigia, durante il suddetto processo, ella ricorda il momento in cui Galgano prende la decisione di abbandonare la spada e prendere il bastone da eremita. Dopo tale visione Galgano cerca dapprima sostegno tra gli amici per potersi costruire una cella circolare così come l’aveva veduta in sogno. Ma ottiene risposte del tipo: «tu vuoi raccogliere del denaro e truffare. Vattene oltremare».
Dopo aver però ottenuto il sostegno sperato soltanto dalla madre, quest’ultima, avendo udito in quale luogo voleva recarsi il figlio per adempiere alla sua missione spirituale, gli dice: «Figlio mio, il freddo [su Montesiepi] è eccessivo, la fame intensa, il luogo quasi inaccessibile […]».
Ed infatti grandi erano le prove fisiche alle quali dovevano sottoporsi. E, sia ben inteso, tali prove portavano alla morte prematura degli eremiti. Così come fu per Francesco e Chiara d’Assisi e Antonio di Padova. La morte, per i digiuni prolungati, per la dieta spesso a base di erbe selvatiche e acqua, per i sacrifici del lavoro manuale e per le pratiche ascetiche quasi crudeli (Guglielmo di Malavalle lavorava intensamente la terra attorno al suo eremo e portava sotto il lurido vestito delle catene che gli laceravano le carni) giungeva in fretta.
Eremiti….al femminile
L’habitat eremitico coincideva spesso con l’immediata periferia extra-urbana, senza necessariamente evocare l’horridum di foresta o dell’inabitato. E sotto quest’ultimo aspetto è particolare l’esperienza delle cellane e recluse. Come afferma André Vauchez, «pour le femmes, la forme normale de la vie religieuse n’etait pas l’érémitisme, mais la réclusion». Se inizialmente solo di Chiara d’Assisi potevamo conoscere esattamente la biografia, nel corso degli ultimi anni uno studio sistematico e approfondito ha portato alla conoscenza di molte recluse. In realtà le donne eremite o cellane esistevano da sempre, solo che dal XIII secolo in poi cominciarono a moltiplicarsi delle recluse urbane viventi sia sole che con una o più compagne, spesso vicino alle porte di una città, di ponti, di ospedali o di cimiteri. E la loro sussistenza materiale era assicurata dagli stessi fedeli, mentre l’assistenza spirituale era data loro da vescovi della zona o dal clero.
Vari sono i documenti in cui si può trovare menzione delle incarcerate: ad esempio nel 1303 Francesco, vescovo di Gubbio, emanava delle disposizioni per regolamentare la situazione delle incarcerate nella sua diocesi; nel processo di canonizzazione del beato Simone da Collazzone (1252) si ricorda una reclusa da lui miracolata e due sue compagne; dai documenti notarili fiorentini si apprende di una Firenze “infestata” da minuscoli reclusori femminili; la Roma post-giubilare vantava un numero impressionante di recluse, tanto da crearne una contrada. Basta comunque ricordare anche la Leggenda Maggiore di san Bonaventura, in cui è riportato l’episodio di Prassede, incarcerata romana miracolata da Francesco.
Nella frammentarietà delle fonti, eccezione è rappresentata senza dubbio dal caso di Chelidonia. La sua Vita, scritta da un anonimo, riporta quanto la santa, nata a Cicoli, in Abruzzo nella seconda metà dell’XI secolo, fosse animata dalla vocazione per la vita solitaria. S’insediò così a Mora Ferogna, presso l’abbazia sublacense, dove interruppe la sua solitudine solo per affrontare un pellegrinaggio a Roma.
Riporta l’anonimo scrittore che affrontò digiuni, freddo e animali selvatici. Inoltre ci informa di come i suoi vicini le chiedessero consigli e preghiere, remunerandola con doni alimentari.
Purtroppo la mascolinità richiesta per la vita eremitica provocava una sostanziale diffidenza da parte della società ecclesiastica del tempo nei confronti delle donne, e questo può forse spiegare la penuria di storie di sante.
Tuttavia c'è da notare che la situazione della donna eremita varia da paese a paese. Se in Germania non troviamo menzione di donne eremite, altrettanto non si può dire dell’Inghilterra: per esempio sappiamo di una reclusa, Christine, divenuta priora di una comunità di benedettini, «la première prieure» in assoluto.
Molto singolare la sua vicenda. Giovane ragazza di Huntingdon, dopo una visita all’abbazia di St. Albans, fece a quindici anni voto di castità per darsi completamente a Dio, e testimone di questo voto fu un canonico regolare dell’abbazia, Suenon, peraltro suo confessore.
Tutta la prima parte, se così si vuol dire, della sua vita, fu una lotta eroica per prestare fede a quel giuramento. I suoi genitori infatti volevano farla sposare. E anche il vescovo di Durham, Raoul Flambard, la invitava a prender marito. Dopo molte vicissitudini, suo malgrado, contrasse matrimonio.
Tuttavia desiderando ardentemente prestare fede al giuramento almeno nella forma ascetica, s’incontrava clandestinamente con un venerato eremita di nome Edwin.
Approfittando poi di una visita che i suoi parenti fecero ad un altro eremita, Guy, che viveva a poche miglia da Huntingdon, riuscì a fuggire, rifugiandosi presso una reclusa, Alfwen. Dopodiché fu avviata alla totale esperienza eremitica da Roger, ex monaco di quell’abbazia di St. Albans dove anni prima aveva fatto il voto. Questo Roger, dopo un pellegrinaggio a Gerusalemme, si era ritirato a vita eremitica insieme ad altri cinque ex monaci a Markyate.
Dopo vari anni di vita in condizioni estreme, Christine riuscì a farsi annullare il matrimonio dall’arcivescovo di York, Thurstan.
Per tutte le sue vicissitudini, ella fu ricompensata con la visione di Gesù Bambino, seguita da altri eventi miracolosi che la vedevano protagonista. A seguito di tali eventi, molti capi di monasteri, provenienti da tutta l’Inghilterra, le rendevano visita. Infine fu scelta come priore.
E sempre in Inghilterra troviamo un’altra peculiarità dell’eremitismo “britannico”: molti eremiti trovano nelle piccole isole il luogo perfetto per la meditazione. Così come sant'Henry de Coquet Island, un laico nato in Danimarca, poco prima del suo matrimonio capì che la vita da seguire doveva essere quella eremitica, e si rifugiò nella suddetta isola.
Parte III: solitudine ma non troppo
Ciò che più colpisce degli eremiti vissuti tra l’XI ed il XIV secolo è che la loro solitudine dovuta alla ricerca della vita contemplativa non esclude le relazioni umane: è molto difficile che gli eremiti non siano mai visitati dalla popolazione dei borghi intorno al luogo ove vivono, o addirittura viceversa. Indubbiamente viene l’immagine di un individuo che, isolandosi dal resto del mondo, vivendo al di fuori della società del suo tempo, situa il suo luogo di penitenza in un punto creduto irraggiungibile, per evitare il coinvolgimento con la mondanità. Ma appena diffuse le voci su presunti o reali miracoli avvenuti per loro intercessione, o di lotte contro i diavoli, inevitabilmente pellegrini e popolani intraprendono il tortuoso percorso per giungere allo loro presenza.
L’eremita, al contrario del cenobita, diviene così una figura familiare nella società medievale, perché ha maggiori possibilità d’incontrare la gente comune.
E così, sempre nel processo di beatificazione di Galgano, vediamo come vengano interpellati miracolati o testimoni di miracoli avvenuti anche dopo la morte del santo. Ad esempio, un tal Giovanni da Chiusdino disse che poco tempo dopo la conversione del santo andò a cercarlo e, avendolo trovato, il santo Galgano gli diede tre pezzi di pane grosso e gli disse di darlo ai primi tre poveri che avesse incontrato. Non trovandone, li diede alla moglie chiedendole di fare quanto detto dal santo il giorno dopo. La mattina seguente, i pani erano raddoppiati, e avevano addirittura diverso colore e sapore.
Ma non solo: molti di essi si spostavano in paesi lontani o si dedicavano ad una vita di peregrinazioni: agli inizi dell’ XI secolo sappiamo che il monaco Simeone del Sinai venne in Lotaringia, dopo aver conosciuto l’abate di Saint-Vannes, e abitò per il resto dei suoi giorni da recluso in un’ala della Porta Nigra a Treviri. Molti eremiti erano soliti andare addirittura in pellegrinaggio, una o più volte nella vita. Così come molti si recavano a Roma, altri giungevano addirittura a Gerusalemme, al sepolcro del Signore: come un certo Aldwin, che viveva nella regione di Malvern, in Angleterre, insieme al suo compagno di preghiera Guy, e altri ancora a Santiago di Compostella: il beato Franco Lippi da Grotti, giovane nobile o figlio di contadini (c'è discordanza nelle fonti), divenuto bestemmiatore e delinquente, colpito da una malattia agli occhi, diviene cieco, e solo dopo un'apparizione di san Giacomo parte per la Galizia; dopo un'ulteriore apparizione della Madonna si ritirerà eremita.
Gli eremiti potevano addirittura orbitare intorno alla corte di sovrani. Il re d’Ungheria Stefano creò una prima rete di diocesi e parrocchie, in sintonia con il grande sogno di un regno cristiano, così come egli aveva sperato. Dopo aver creato anche una serie di ospizi lungo le maggiori vie di pellegrinaggio per Roma, per Costantinopoli e per Gerusalemme, ricordiamo un monaco di Venezia, Gerardo (Gellért) fermato da re Stefano sulla via di Gerusalemme e ordinato vescovo della diocesi di Marosvàr. Questo Gerardo avrebbe scelto da principio la solitudine a Bakonybél, non lontano dalla residenza reale, ove sarebbe rimasto per ben sette anni prima di esercitare l’ufficio vescovile.
Essendo uno stato con una struttura ecclesiastica nuova, il re doveva porre delle persone di fiducia alla guida delle diocesi, individui fedeli e di alta caratura morale, anche per non squilibrare troppo il sistema dei poteri.
L’abbazia di Bakonybél fu fondata a sua volta da un altro eremita, Günther di Niederaltaich, un nobile di Turingia che aveva scelto la via della penitenza pro delictis iuventutis, nei pressi della distesa desolata dove era solito ritirarsi. Il suo legame con re Stefano sembra essere stato stretto tanto quanto quello di Gerardo. Nella biografia di Stefano è riportato che Günther era solito addirittura svuotare l’intera tesoreria reale e distribuirne le ricchezze ai poveri. Inoltre faceva spesso da intermediario tra Stefano e i sovrani dei paesi confinanti.
La stessa dinastia ottoniana affidava compiti di natura politica agli eremiti. D’altro canto non solo erano individui dalla morale impeccabile, ma rappresentavano altresì la sacralità del governo imperiale agli occhi degli altri sovrani. Molti asceti, soprattutto greci, austeri e non troppo esibizionisti, godevano di alta stima in tutto l’occidente e offrivano l’impulso della riforma ascetica.
Bastino le molteplici attività missionarie del già menzionato Bruno di Querfurt (il quale, dopo aver tentato la conversione dei prussiani, morì decapitato) e l’ambasciata di Giovanni di Gorze al califfo di Cordoba.
E comunque Ottone III era il primo a compiere pratiche ascetiche per purificarsi dai peccati e addirittura sembra fosse stato amico di Romualdo di Ravenna, iniziatore dell’Ordine dei Camaldolesi e morto nel 1027, il quale lo avrebbe addirittura accolto per un breve periodo nella sua comunità di eremiti nelle paludi proprio presso Ravenna.
Sovente il diffondersi del culto di un eremita può essere inquadrato in una precisa opera politica. La storia di Chelidonia, ad esempio, è leggibile in una rivalutazione del Subiaco benedettino. Allo stesso modo il culto di san Galgano sembra essere stato incentivato dal vescovo volterrano Ildebrando Pannocchieschi, il quale non solo sollecitò la venuta dei cistercensi in prossimità del romitorio, ma vide, come scrive Franco Cardini, anche una «funzione pacificatrice del nuovo culto», una specie di «nuovo santo concepito per dirimere contese - frequenti nell'alta Val di Merse - che certo coinvolgevano la feudalità locale, ma anche il tessuto ecclesiastico dell'intera zona».
Le lotte con il demonio
La solitudine però poteva avere conseguenze anche molto più pesanti. Non è raro trovare nelle fonti agiografiche lotte corpo a corpo sostenute dagli asceti contro il demonio.
Sia Galgano che Guglielmo, ad esempio, combattono contro il maligno a più riprese, altrettanto quanto Chelidonia: l’anonimo agiografo riporta come il demonio, assumendo forme di bestie feroci, cercava di atterrirla.
Gherardesca da Pisa, divenuta cellana dopo un matrimonio, una notte fu trascinata fuori dalla sua cella da un demone e da lui abbandonata su un navicello nell’Arno nel tentativo di affogarla, ma fu tratta in salvo da alcuni angeli.
D'altra parte la presenza del diavolo è nota in tutti i paesi occidentali. Ma «non si cerchi alcuna coerenza in questo essere - scrive Pietro Clemente - miscuglio eterogeneo, che ha per ingredienti il Satana biblico, i cattivi spiriti stranieri, Pan dal piede caprino e, a volte, il diavolo orientale o Jinn» se non addirittura di orco, soprattutto nella tradizione tedesca. Dopo il Medioevo diviene un essere con piede biforcuto, coda e barba. Ma nel corso del Medioevo esso è rappresentato come etiope nerissimo, moro con artigli di animale, asino con orecchie lunghissime, satiro, lupo, bellissima giovane, serpente, finti sant'uomini, pellegrino che scompare, leone, puzza nell'aria, orso, memorie del peccato carnale e addirittura come un gigante.
Nella documentazione relativa a Franco Lippi da Grotti, il diavolo appare più volte in queste forme. Ma non solo: tenta di far perdere la pazienza al Santo nascondendogli le cose per non fargliele più trovare, anche se molto spesso Franco - spiega sempre Pietro Clemente - riesce a metterlo in fuga ugualmente «con tante mazzate».
IV: Gli eremiti nella letteratura medievale
Anche nella letteratura antico-francese troviamo presenze di eremiti. Anche se non appare nel Roland, la più antica Chanson de Geste, un cenno alla vita eremitica è nella Chansun de Willame, un altro antico testo: l’eroe, tornando vinto e disperato dalla battaglia, confida alla moglie il proposito di andare pellegrino e ramingo. Ma, come narrato in una canzone più tarda, il Moniage Guillame, ciò accade solo successivamente alla morte della moglie.
Nel Renaut de Montauban il protagonista, Maugis, comprendendo di essere di ostacolo alla riconciliazione tra i cugini e l’Imperatore, se ne va eremita in un bosco, dopo aver però affrontato un bel pellegrinaggio a Gerusalemme.
L’eremita assume in questi poemi la forma di saggio, di santo vegliardo. Nell’Eliduc si narra l’avventura di un cavaliere, di nome appunto Eliduc, che riporta in patria per nave la principessa che ama. Venuta a conoscenza però che il suo cavaliere è già sposato, la giovane donna sviene, ed Eliduc non riesce più a rianimarla. Per questo corre nel cuore di una foresta, in quanto è a conoscenza dell’esistenza di un eremita molto saggio, forse in grado di risvegliarla.
E ancora, nel Tristano di Béroul, il cavaliere e la sua amante si rifugiano nella foresta, vivendo di stenti e privazioni, dove conoscono un eremita, Ogrin, che scongiura loro di abbandonare il peccato in cui vivono.
Come non ricordare il Perceval di Chrétièn de Troyes, in cui il cavaliere Perceval incontra un vecchio eremita nella foresta, il quale illumina la coscienza turbata del giovane prescrivendogli la retta via da seguire per poter poi accogliere il mistero del Graal. Inoltre il cavaliere dovrà ascoltare messa ogni giorno e difendere i deboli, gli oppressi, le donne e i bambini.
Lo stesso Lancillotto confessa il proprio peccato d’amore con Ginevra ad un romito, per poi ritirarsi, alla fine della vicenda, in un eremo insieme al cugino Bleoberis e all’arcivescovo di Canterbury; Galvano ed Ettore avranno da un eremita la spiegazione delle loro visioni.
C’è spazio pure per una reclusa, figura non molto familiare per la Chanson de Geste: ella è una zia di Perceval.
Una figura che indubbiamente si riallaccia al ciclo arturiano è quella di san Galgano, eremita nella valle del fiume Merse, vicino Siena. Galgano, cavaliere originario d’un castello che si chiama Chiuslino, come riportato nella documentazione relativa, fu huomo feroce e lascivo a mmodo che sono e’ giovani, implicato nelle cose mondane e terrene; ma per due volte gli appare l’Arcangelo Michele, re delle milizie celesti, protettore proprio dei cavalieri, che gli profetizza ch’elli doveva essere cavaliere di Dio. In crisi di coscienza, soprattutto dopo la seconda visione, in cui l’Arcangelo gli mostra quale sarebbe stato il suo futuro luogo di penitenza (Montesiepi, appunto) e ove lo attendevano addirittura i dodici apostoli, scappa dal suo borgo d’origine.
Mentre fugge nella direzione del vicino borgo di Civitella, in prossimità del colle detto Montesiepi il suo cavallo si ferma, e non riesce a costringerlo a proseguire. Passa la notte nella vicina pieve di Luriano, ma il giorno dopo il cavallo non vuole saperne di muoversi. Allora riflette sulla visione e sul colle: troppe coincidenze.
E difatti l’unica direzione che vuole prendere l’animale è proprio quella per Montesiepi. Giunto in cima al colle, si prese la spada ch’egli aveva a llato e in luogo di croce su la dura pietra la ficcò, rievocando così per sempre l’episidio arturiano della spada nella roccia. Dopodiché acconciò il suo mantello a mmodo di veste monacile, e, fatto un forame nel mezzo a mmodo di schappulare, sel vestì.
Dopo innumerevoli scontri con il demonio e con coloro che accorrevano per tentare di estrarre la spada conficcata nella roccia, tra guarigioni miracolose che continuarono anche post-mortem dell’eremita (avvenuta nel 1181), preghiere e digiuni continui, Galgano fu fatto santo appena quattro anni dopo la sua scomparsa.
Molte sono state le teorie riguardanti il suo nome: è molto probabile che esso venisse dal promontorio ove sorge il Santuario di San Michele Arcangelo in Puglia, molto frequentato dai pellegrini nel Medioevo. Come scrive proprio Franco Cardini, la differenza starebbe più in un passaggio filologico perfettamente spiegabile dalla r alla l, e riguardante la loro facile interscambiabilità nel corso dei secoli. Oppure è molto probabile che il padre abbia voluto attribuirgli il nome di quel Galgano Pannocchieschi che di lì a due anni dalla nascita del Galgano di Chiusdino sarebbe divenuto poi vescovo. Per non parlare poi della somiglianza con quel cavaliere Galvano, nipote peraltro di Artù.
Molto spesso l’eremita è infatti un cavaliere, o comunque un nobile, che si toglie l’armatura ed il cingulum, che ripudia la spada e ogni atto di violenza, che si pente del suo precedente stile di vita spesso dissoluto. D'altro canto proprio in questo arco di tempo si sviluppano i ceti mercantili: la vita diviene sempre più oppressa dagli affari, la sete di guadagno consuma l’individuo facendogli perdere coscienza dei veri valori. Ma non solo: la stessa vita di uomo di guerra, le sofferenze patite ed inferte, il dubbio della sopravvivenza.
E tutto inizia proprio con lo stravolgimento della sua stessa vita, che deve seguire un modello, ovvero Gesù povero, nudo e solo. è per questo che nell’XI secolo troviamo personaggi come Teobaldo di Provins, conte di Champagne, che si fece asceta prima a Pitange nella foresta di Cluny, poi a Marcour sulle terre del conte di Montagu e poi in Veneto, dove si fece sacerdote a Vicenza, e dove venne sepolto dopo aver vissuto qualche anno ancora come eremita a Sajanega, o individui proprio come Galgano, da cui prende il nome la bellissima chiesa cistercense in prossimità dell'eremo, come Günther di Niederaltaich, visto in precedenza, e come san Guglielmo, del cui eremo di Malavalle si trovano ancora i resti a Castiglione della Pescaia. Nobili cavalieri che si rifugiano in un luogo sperduto e remoto, che combattono da soli contro le proprio tentazioni, ed entrati nelle leggende popolari.
Ma anche la storia di san Guglielmo di Malavalle assume sfaccettature assai singolari. L'unica certezza che abbiamo è la data di morte, riportata dal discepolo Alberto: 10 febbraio 1157. Infatti non siamo sicuri che Guglielmo sia identificabile con Guglielmo duca d'Aquitania e conte di Pittavia, come afferma sempre Alberto nella sua Vita di san Guglielmo, anche se questa è l'identità più accreditata. La tradizione vuole, quindi, che Guglielmo fosse un nobile vissuto presso una corte poco cristiana e nella licenziosità delle armi. Morto Papa Onorio II, Guglielmo fa parte del partito favorevole all'elezione dell'antipapa Anacleto. Ma per intercessione di san Bernardo di Clairvaux, che lo invita più volte all'obbedienza nei confronti del vero pontefice romano, Guglielmo, dinanzi al Corpo di Cristo, che gli mostra lo stesso Bernardo per intimidirlo, si sottomette al vero Papa romano. Per penitenza si fa così saldare la cotta di ferro sui fianchi nudi, in modo da non poter più togliersela.
Ottiene così udienza dal Papa, il quale gli impone un pellegrinaggio verso Gerusalemme, scalzo e in continui digiuni.
Saputo della sua conversione alcuni cavalieri, probabilmente suoi vecchi compagni d'arme, si recano in terra santa per convincerlo a tornare, ma egli rifiuta. S'imbarca così alla volta dell'Italia ma, in nave, non può compiere adeguatamente tutti gli esercizi spirituali di cui ha bisogno per mantener saldo lo spirito e invulnerabile alle tentazioni: vedendo il castello di Monte Santa Croce preso d'assalto dai Lucchesi e difeso dai Pisani, gli ritorna il suo antico spirito combattivo e si pone al servizio dei primi.
In seguito, intuito che la mancanza di pratiche ascetiche porta ad una inevitabile ricaduta nei desideri carnali e maligni, si reca in pellegrinaggio a Santiago di Compostella, dove si finge tra l'altro morto per eliminare qualsiasi legame con la precedente vita terrena.
Costeggiando il Mar Ligure sbarca in Italia e giunge a Monte Pisano, tra il Serchio e l'Arno, vivendo come eremita in isolamento.
Dopo una serie di altre disavventure, tra i quali attacchi del demonio e visioni addirittura della Vergine Maria, riesce definitivamente ad insediarsi nello Stabulum Rodis, in seguito chiamata Malavalle. Invasa dalla vegetazione e dal terreno arido, si credeva fosse abitata addirittura da un serpente enorme, una terribile bestia del dragho, che san Guglielmo sembra aver sconfitto (per questo lo troviamo spesso ritratto con un piede che pesta un grosso serpente).
Ciò che differenzia la storia di Guglielmo da quella degli altri eremiti è che, anche in seguito ai suoi miracoli, si sparge la voce della sua esperienza eremitica, portata oltre il contado grossetano e giunta in molte regioni dell'Italia centrale. E sempre più aspiranti asceti si riunivano nel piccolo eremo costruito dallo stesso Guglielmo, dove dimorò con il discepolo Alberto per circa un mese, al fine di ripetere la stessa esperienza del santo.
Questi suoi fedelissimi edificarono un oratorio sulla tomba del santo e, sotto la guida spirituale d'Alberto, ripercorsero lo stesso tragitto ascetico di Guglielmo il quale, non avendo certo in mente di creare un ordine, non aveva lasciato alcuna Regula, ma i fedeli si rifecero alle storie della sua vita raccontate dal primo discepolo.
L'ordine detto "dei Guglielmiti", approvato nel XIII secolo dal vescovo di Roma, poté creare addirittura delle sedi oltralpe.
Ma lo stile di vita dei guglielmiti era troppo rigido: se speravano di ingrandirsi in quanto Ordo non potevano mantenere le esagerate regole ascetiche di Guglielmo; per questo, nel corso dei secoli, l'Ordine andò sempre più ad accostarsi a quello agostiniano, fino ad esserne inglobato.
Parte V: Eremiti nel Mezzogiorno italiano
Una citazione a parte meritano gli eremiti che scelsero il loro luogo di meditazione nell'Italia meridionale. L'eremitismo di quelle zone presenta due caratteri a dir poco originali che lo differenziano dalle restanti forme eremitiche europee: anzitutto la presenza di un monachesimo greco in Calabria e nel Salento, che conosce un'evoluzione particolare sopratutto tra XI e XII secolo; in secondo luogo la rinascita di un eremitismo "organizzato" all'interno del monachesimo latino nell'XI secolo, che sfocia in un cenobitismo più austero nel secolo successivo, soprattutto presso i cistercensi (d'altro canto, le nuove congregazioni non penetreranno nel Mezzogiorno fino al XII secolo).
Anche in questo caso le fonti di cui disponiamo sono testi agiografici, privilegi pontifici e quant'altro, ma nelle descrizioni biografiche è palese la differenza con gli eremiti delle altre regioni europee: sia i testi greci che latini riportano episodi d'isolamento di monaci che hanno compiuto, nei momenti di vita nella società, dei miracoli tali da renderli santi. E in questi documenti la confusione tra cenobium ed eremo è molta. Nel corso dei secoli, venne definito eremo principalmente il cenobio isolato, magari su una montagna, e in cui i monaci praticavano una vita austera.
Già nel IX secolo si riconoscevano tre diverse categorie di monaci: gli eremiti solitari, gli eremiti conviventi con due o tre compagni (chiamati spesso esicasti) e i cenobiti. Questi ultimi però vivevano un cenobitismo che segue le regole monastiche orientali, soprattutto dopo la crisi iconoclasta (durata fino all'842).
E i santi monaci sono ricordati anche per la formazione di gruppi di discepoli con i quali seguire la via esicasta: ad esempio Elìa il giovane, morto nel X secolo e considerato dall'agiografia meridionale medievale il monaco per eccellenza, venne catturato e schiavizzato in Africa. Liberato, dopo un viaggio in Palestina, veste l'abito monacale e viaggia in Egitto e in Persia, fino a giungere nel Peloponneso prima, ed in Calabria poi dove fonda un monastero, per seguire le pratiche esicaste imparate nel suo lungo peregrinare; Nilo da Rossano comincia la sua attività ascetica presso un monastero ma, in seguito ad un accordo con i monaci, si rifugia in una grotta vicino il piccolo Santuario di San Michele Arcangelo, dove recluta dei compagni con i quali condividere le esperienze ascetiche. E gli esempi sarebbero ancora molti.
Per quanto riguarda invece le fonti latine meridionali medievali, esse sono di gran lunga posteriori rispetto ai testi greci. E i personaggi fondamentali del monachesimo latino risultano essere tre: Giovanni da Matera, Guglielmo da Vercelli e Giovanni da Tufara.
Questi tre santi uomini del XII secolo sono importanti nella storia dell'eremitismo latino meridionale in quanto non sono solo fondatori di monasteri, ma altresì di grandi congregazioni.
Giovanni da Matera è definito nella sua Vita proprio beatissimus Joannes Eremita. Sin dall'infanzia egli aspira all'eremus. Subito molto giovane, dopo aver trascorso pochi anni in un monastero, si ritira in un inhabitabilis eremus, bevendo acqua e mangiando erbe di campo e frutta selvatica. Dormiva appeso ad una corda immerso nell'acqua fredda, e combatteva con demoni e bestie.
Dopo una visione in cui gli appare san Pietro, che lo libera addirittura da un'ingiusta prigionia in cui era finito negli anni a seguire, restaura una chiesa dedicata al primo papa presso Ginosa.
Incontra poi Guglielmo da Vercelli, con il quale passa qualche tempo sul monte Cognato, presso Matera.
Guglielmo prende l'abito a l'età di quattordici anni, si reca a Roma e giunge in Italia meridionale seguendo il cammino per Gerusalemme. Si stabilisce dapprima con Giovanni da Matera, vivendo tutti i giorni con pane, acqua e dei legumi, per poi giungere, in seguito alla separazione dallo stesso Giovanni, a Montevergine, vicino Avellino a più di 1200 metri di altitudine. Un gruppo di religiosi lo va a trovare e si stabilisce con lui. Crea una specie di "eremitismo di gruppo", ma i suoi discepoli devono andarsene per l'eccessivo freddo patito sul monte.
Finalmente incontra nuovamente Giovanni, ma Dio ordina a quest'ultimo di andare in Puglia, e a Guglielmo di restare.
Ciò che colpisce maggiormente della figura di questo Guglielmo, è che nell'agiografia egli è definito confessor et heremita, anachorita, e soprattutto il creatore di una anachoritica norma, ovvero di una regula, o comunque di una forma nuova di eremitismo o monachesimo.
Diverso il discorso per Giovanni da Tufara (provincia di Campobasso), appartenente alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo, compì i suoi studi a Parigi, per ritirarsi poi a Monte Sant'Angelo. Vive per tre anni nel monastero a "tendenze eremitche" di Sant'Onofrio, e poi nella vicina chiesa di San Silvestro.
Mangia pochissimo ma legge molto, soprattutto le Vitae Patrum.
Infine si ritira dapprima in una cella nella chiesa di San Firmiano, e poi nel monasterium di Santa Maria del Gualdo.
Parte VI: Gli eremiti nella documentazione agiografica medievale
Non è facile ritrovare documentazione certa sugli eremiti medievali. L’eremitismo può essere una tappa più o meno lunga di un percorso che giunge ad altra destinazione, come nel caso di san Francesco d’Assisi e di san Benedetto da Norcia. Ma è più facile solo in caso di un'eventuale beatificazione ritrovare un vita o una documentazione sufficiente a ricostruire una biografia pur essenziale di un individuo.
Un’abbondante produzione agiografica la si può trovare anche presso ordini che potremmo definire semi-eremitici, come i monaci vallombrosani o come la stessa congregazione camaldolese.
Una delle opere letterarie in tal senso più conosciute è la Vita Romualdi di Pier Damiani. Più tardi, invece, è proprio l’agiografia d’origine francescana e agostiniana che ci offre maggiori informazioni su vari personaggi all’interno dei vari ordini.
Ma in un quadro generale di tutti gli ordini e dei movimenti religiosi medievali, ciò che ci rimane degli eremiti è assai poco. Il vero eremita, come abbiamo già detto, è un solitario, un individuo che preferisce le pareti ghiacce di una grotta al tepore del fuoco domestico, è un penitente che preferisce alle frivolezze della vita mondana la preghiera e la lunga meditazione, da solo o con pochi e fidati compagni.
Ma tale rarità di fonti può trarre in inganno gli storici, in quanto non permette di giungere ad un quadro veritiero ed accettabile di un fenomeno così vasto e, anzi, spesso può condurre in errore, non permettendo d’inserirlo nel posto che gli spetta nella società occidentale medievale.
Già la parola “eremita”, così come per il termine eremus, è di difficile interpretazione. Come rilevato in alcuni atti notarili piemontesi, gli stessi cistercensi erano menzionati come heremitae; ma essi trascorrevano un tipo di vita forse più duro degli stessi monaci benedettini? No di certo, erano dei cenobiti e non degli eremiti!
D'altra parte il genere di vita degli eremiti poteva essere praticato da chiunque, monaco o laico che fosse.
Agli occhi dei loro contemporanei, quindi, l'eremita appariva con tutte le caratteristiche viste in precedenza e dai singoli casi possiamo trarre delle descrizioni generali:
Ø era un asceta che, rifiutando il mondo contemporaneo che lo circondava, e affrontando una crisi di coscienza, spesso a seguito di un fatto grave da egli stesso compiuto (magari un omicidio) o una visione, giungeva alla conversione;
Ø sceglieva sempre un luogo solitario e selvaggio (montagna, isola, foresta se non landa desolata), ove viveva solo o in piccoli gruppi, e ove sopravviveva di ciò che coltivava, o addirittura, quando non digiunava, dato che di solito evitava la carne, si nutriva di erbe crude o di frutti selvatici;
Ø non teneva per niente al suo aspetto esteriore, e ciò spiega come mai gli agiografi presentino l'eremita come un personaggio irsuto e barbuto. Inoltre vestiva con abiti laceri, spesso di lana grezza (magari un cilicio) ed erano scalzi;
Ø gli erano attribuiti poteri taumaturgici che, in qualche modo, rappresentavano il dono offerto da Dio per la sua vita di penitenza, affinché gli usasse per aiutare le genti.
Eroi del vero cristianesimo, per gli eremiti troviamo che la documentazione agiografica, le vitae, sono spesso tardive. André Vauchez nota che, ad esempio, nel caso di san Galgano le prime vitae furono composte agli inizi del XIII secolo, più di vent'anni dopo la sua morte. Secondo Vauchez furono composte per giustificare il passaggio, avvenuto dopo la morte dell'eremita, della comunità eremitica da lui fondata all'ordine cistercense. Ma tutto questo è anche sintomo di quella ricerca di rinnovamento del monachesimo, che vedeva bene di poter ripartire da una tradizione di tipo eremitico, molto ben vista dalla popolazione. Lo abbiamo visto per Chelidonia e per Galgano.
La stessa cosa accade, per esempio, ad Ugolino di Bevagna (morto nel 1360 circa) che costruì, con il permesso del vescovo di Spoleto, un eremo dedicato a San Giovanni Battista in un bosco nei pressi della suddetta città; attirati i primi compagni, nel 1350 l 'eremo passò sotto l'abbazia di Subiaco.
Tuttavia non sempre, come scritto in precedenza, possiamo rifarci ad una Vita per ritrovare le azioni di un eremita, bensì ad altre fonti, come ad esempio ad un decreto di Urbano VIII con il quale il Papa voleva "catalogare" i santi o i presunti tali non ancora ufficialmente riconosciuti dall'autorità ecclesiastica, ma al centro di culti e festeggiamenti da parte delle popolazioni locali. E così, anche se non possediamo alcuna Vita, per Giolo di Sellano (1250-1315), un eremita che ha passato buona parte della sua vita in una grotta nel fondo di una vallata sperduta tra Spoleto e Foligno, si è potuto rintracciare un dossier nell'Archivio Segreto Vaticano. In esso figurano inoltre le copie di uno statuto comunale di Sellano del 1374, in cui è menzionata una festivitas beati Ioli, un documento non datato in cui sono menzionate le reliquie del Santo, deposte nella Chiesa costruita in suo onore, e una menzione della famosa grotta, dove gli abitanti si recavano una volta l'anno in processione.
In mancanza di qualsiasi fonte scritta si possono studiare le immagini, in cui spesso si ritraggono scene di vita dei santi, e che spesso contengono molte e preziose informazioni. Per esempio l'eremita toscano Ventura de Pisignano, morto nel 1310, è conosciuto grazie ad un affresco del XIV secolo; e così per Gérard di Villamagna, di cui abbiamo una piccola ma insufficiente biografia, è conosciuto per le miniature di un manoscritto fiorentino del XIV secolo.
E ancora della presenza di un eremita o di un santo di cui si è persa la documentazione, possiamo ritrovare traccia anche nei nomi dei luoghi. Per esempio, Santa Brigida a Lobaco ricorda la creazione di una chiesetta dove riposavano i resti di Brigida, eremita nei pressi di Fiesole, che aveva trascorso la sua vita in aspra penitenza e in lotta con gli animali selvatici, così come Chelidonia. La sua vita è stata riportata, anche se solo in alcuni dettagli, da Filippo Villani, nipote di Giovanni, e continuatore della sua Cronica.
E così era il luogo di Ugolina da Vercelli, la cui storia è riportata nell’opera di Ludovico della Croce: sappiamo che un devoto pellegrino d’oltremare, tornato nella sua Vercelli, decise di condurre vita eremitica dove eresse un oratorio intitolato a Santa Maria di Betlemme, da cui deriva il toponimo Bilemme rimasto ai luoghi: anni più tardi tale romitorio avrebbe attirato la vergine Ugolina che, piuttosto che dedicarsi ai peccati incestuosi obbligati dal padre, avrebbe preferito la vita eremitica.
In Sicilia Sciacca venera da tempo una pia pellegrina, Angela, la quale, dopo aver fatto professione di fede all’Ordine del Carmelo, sarebbe tornata a Sciacca dove avrebbe condotto vita eremitica fino alla morte. Da qui il condizionamento nelle scelte onomastiche della zona per il suo nome.
PER SAPERNE DI PIù
PARTE I
L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII, Atti della seconda settimana internazionale di studio (Mendola, 30 agosto – 6 settembre 1962), Società Editrice Vita e Pensiero, Milano 1965. In questa raccolta:
Þ Cinzio Violante, Discorso di apertura
Þ Hubert Dauphin, L’érémitisme en Angleterre aux XIe et XIIe siècles
Þ Jean Leclercq, L’érémitism en Occident jusqu’à l’an mil
Þ Herbert Grundmann, Eremiti in Germania dal X al XII secolo: «Einsiedler» e «Klausner»
PARTE II
Anna Benvenuti, Eremitismo urbano e reclusione in ambito cittadino, in Ermites de France et d’Italie (XIe-XVe siècle) sous la direction d'André Vauchez, Ėcole Française de Rome 2003, pp. 241-253;
Anna Benvenuti, Velut in Sepulcro - Cellane e recluse, in «In Castro Poenitentiae» - Santità e Società femminile nell’Italia medievale, raccolta di Italia Sacra – studi e documenti di Storia ecclesiastica n° 45, Herder Editrice e Libreria, Roma 1990, pp. 306-402;
Hubert Dauphin, L’érémitisme en Angleterre aux XIe et XIIe siècles, in L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII cit., pp. 271-310;
Herbert Grundmann, Eremiti in Germania dal X al XII secolo: «Einsiedler» e «Klausner», in L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII, Miscellanea del centro di studi Medioevali IV, atti della seconda settimana internazionale di studio - Mendola, 30 agosto – 6 settembre 1962, Società Editrice Vita e Pensiero, Milano, pp. 311-329;
Cécile Caby, Finis Eremitarum? Les formes régulièeres et communautaires de l'érèmitisme médiéval, in Ermites de France et d’Italie (XIe-XVe siècle) cit., pp. 47-80.
PARTE III
Gérard Gilles Meersseman, Eremitismo e predicazione itinerante dei secoli XI e XII, in L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII cit., pp. 164-179;
Marina Miladinov, Dalle Laure ai Paolini - Le comunità eremitiche in Ungheria, in Ermites de France et d’Italie (XIe-XVe siècle) cit., pp. 389-411;
Herbert Grundmann, Eremiti in Germania dal X al XII secolo: «Einsiedler» e «Klausner» in L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII cit., pp. 311-329;
Pietro Clemente, Franco Lippi da Grotti, in Ermites de France et d’Italie (XIe-XVe siècle) cit., pp. 315-341;
Anna Benvenuti, Velut in Sepulcro cit., pp. 306-402;
Franco Cardini, San Galgano e la spada nella roccia, collana “I classici cristiani”, edizioni Cantagalli, Siena 2000.
IV
Anna Maria Finoli, La figura dell’eremita nella letteratura antico-francese, in L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII, Atti della seconda settimana internazionale di studio (Mendola, 30 agosto – 6 settembre 1962), Società Editrice Vita e Pensiero, Milano 1965, pp. 581-591;
Leggenda di Santo Galgano confessore, appendice al libro di Franco Cardini, San Galgano e la spada nella roccia, collana “I classici cristiani”, edizioni Cantagalli, Siena 2000.
Gérard Gilles Meersseman, Eremitismo e predicazione itinerante dei secoli XI e XII, in L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII cit.,pp. 164-179;
Elisabetta Masetti, Vita di San Guglielmo: la tradizione scritta, in Guglielmo penitente in Maremma, la fecondità di un incontro (a cura di Sandro Spinelli, Editrice Il Mio Amico, Roccastrada;
Kaspar Elm, Un eremita di Grosseto di fama europea: Guglielmo di Malavalle, in La Cattedrale di Grosseto e il suo popolo 1295 - 1995, Atti del Convegno di studi storici, Grosseto 3 - 4 novembre 1995, a cura di Vittorio Burattini, I Portici Editori, pp. 57-72 Odile Redon, Ā la recherche en Maremme du Saint Ermite Guillaume, in Ermites de France et d’Italie (XIe-XVe siècle) sous la direction d'André Vauchez, Ėcole Française de Rome 2003, pp. 299-314.
V
Benedetto Vetere, Giovanni da Matera monaco eremita, ivi, pp. 211-240;
Jean-Marie Martin, L'Erémitisme grec et latin en Italie Méridionale (Xe-XIIIe siècle), ivi, pp. 175-198.
VI
André Vauchez, L’érémitisme dans les sources hagiographiques (France et Italie), ivi, pp. 374-388.
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esperienze nel silenzio della beata solitudine
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- Eremitismo in Occidente tra i secoli XI-XIV
- Eremo Mote Corona
- Filoteo sinaita
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Luigi Maria Grignon de Monfort Trattato della vera devozione a Maria
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Guglielmo di Saint-Thierry Natura e grandezza dell'amore
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Guigo II certosino Scala claustralium
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Ignazio di AntiochiaLettere
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Ignazio di Loyola Autobiografia
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Ignazio di Loyola Esercizi spirituali
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Lettera a Diogneto
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Macario Alessandrino Regula ad monachos
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Macario Alessandrino Apophthegmata
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Ordine dei GesuitiDeliberazione primi Padri - Formule Istituto
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Origene La preghiera
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Pacomio Precetti, regolamenti, leggi, etc.
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PossidioVita di sant'Agostino
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Regola Carmelo
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Regula Ordinis Carmelitarum
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Regula Quattuor Patrum
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Antonio Rosmini Massime di Perfezione cristiana
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Lorenzo Scupoli Il combattimento spirituale
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Serafim di SarovColloquio con Motovilov
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Teresa d'Avila Las Moradas o Castillo Interior
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Teresa d'Avila Modo de visitar los conventos de las Carmelitas Descalzas
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Tertulliano Ad Martyres
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Tertulliano De testimonio animae
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Adolfo Tanquerey Compendio di Teologia Ascetica e Mistica - 4a ediz.
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Dizionario di Mistica(circa 2.3 Mb)
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Francesco di Assisi Opuscula
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Francesco di Assisi Scritti
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Chiara di Assisi Opuscula
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Chiara di Assisi Scritti
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Tommaso da Celano Vita prima di san Francesco d'Assisi
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Tommaso da Celano Vita prima sancti Francisci
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Tommaso da Celano Vita seconda di san Francesco d'Assisi
ITA
Tommaso da Celano Vita secunda sancti Francisci
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Tommaso da Celano Trattato dei miracoli
ITA
Tommaso da Celano Tractatus de miraculis Beati Francisci
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Bonaventura da Bagnoregio Legenda maior
ITA
Bonaventura da Bagnoregio Legenda maior
LAT
Bonaventura da Bagnoregio Legenda minor
ITA
Bonaventura da Bagnoregio Legenda minor
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Giuliano da Spira Vita et Officium rhythmicum s. Francisci
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Leggenda dei Tre Compagni
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Legenda Trium Sociorum
LAT
Anonimo Perugino
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Anonimo Perugino [De inceptione vel fundamento Ordinis...]
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Ubertino da Casale Arbor vitae
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Sacrum Commercium sancti Francisci cum Domina Paupertate
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Leggenda Perugina
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Fioretti
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Jacopone da Todi Laudi
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Dante Alighieri Canto XI Paradiso
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Antonio di PadovaSermones Dominicales
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Antonio di PadovaSermones Festivi
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Vita prima beati Antonii o "Assidua"
LAT
Bonaventura da BagnoregioItinerarium mentis in Deum
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Angela da Foligno Memoriale
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Angela da Foligno Memoriale
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Caterina da Genova Trattato del Purgatorio
ITA
Pedro de Alcantara Trattato della Preghiera e della Meditazione
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Pedro de Alcantara Tratado de la Oración y Meditación
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Raimondo LulloArs amativa boni
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Corrado di Sassonia Specchio della B.V. Maria
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Testamento di Christian de Chergémonaco di Thibirine
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Hans Urs von BalthasarIl cuore del mondo
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Hans Urs von Balthasar Meditare da cristiani
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Enzo BianchiLessico della vita interiore
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Anthony Bloom La preghiera giorno dopo giorno
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Dietrich BonhoefferLe dieci parole del Signore: prima tavola
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Dietrich BonhoefferIl libro della preghiera della Bibbia
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Dietrich BonhoefferVenga il tuo Regno
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Martin BuberIl cammino dell'uomo
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Carlo CarrettoBeata te che hai creduto
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Eloi LeclercLa sapienza di un povero
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Eloi Leclerc Il popolo di Dio nella notte
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Clive S. LewisDiario di un dolore
ITA
Cesare Massa Il tuo volto, Signore, io cerco
ITA
Henri J. M. NouwenIl dono del compimento
ITA
Henri J. M. NouwenLa forza della sua presenza
ITA
Henri J. M. Nouwen Vivere nello Spirito
ITA
Mons. Oscar Romero Homilias A - B - C (circa 2.5 Mb)
ESP
Roger SchutzDinamica del provvisorio
ITA
Silvano dell'Athos Scritti
ITA
Archimandrita SofronioLa Prière, expérience de l'éternité
FRA
Benoît StandaertLe tre colonne del mondo
ITA
Pierre Teilhard de ChardinLa messa sul mondo
ITA
René Voillaume Pregare per vivere
ITA
LINKS Sussidi
LINKS testi da vari siti
Agonia della mistica nell'attuale congiuntura ecclesiale? (Innocenzio Colosio)
Alcuni aspetti della meditazione cristiana
Alcuni insegnamenti di Santa Teresa d'Avila di Franco Michelini-Tocci
Altri brani tratti dalla Guida Spirituale di Miguel de Molinos (da mistica.info)
Antologia da 'Il pellegrino cherubico' di Angelo Silesio
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Brani tratti dalla Guida Spirituale di Miguel de Molinos
Brani tratti dalla Spiegazione delle massime dei santi sulla vita interiore di Fénelon
cacciari_ateismo.pdf
camminouomo.rtf
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castellointeriore.zip
Condanna di 68 proposizioni quietistiche di Miguel de Molinos (dalla costituzione "Caelestis Pastor")
Conversazione con Marco Vannini (di Doriano Fasoli)
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Cristianesimo interiore (Francois Pollien)
cristianesimovissuto_pollien.rtf
De Orazione di Evagrio Pontico
Detti dei Padri del Deserto
dialogotraunanimailluminataeunaprivadiluce_bohme.rtf
diarioignazio.pdf
distaccofabris.pdf
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Edith Stein e Roman Ingarden - Quattordici lettere (Roberto Taioli)
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fiammadamore.zip
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Filosofia e mistica. Un problema terminologico di Marco Vannini
Filotea di Francesco di Sales
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Giovanni della Croce e la notte oscura dell'anima di Franco Michelini-Tocci
Gli otto spiriti malvagi di Evagrio Pontico
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I FIORETTI DI SAN FRANCESCO
Idea di Dio e Rivelazione (Beppe Fragomeni)
Il canto del corpo. Saggio su Maurice Bellet (Roberto Taioli)
IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE
Il Lontanovicino
Il senso della gratuità in Maurice Bellet (Roberto Taioli)
ildionascosto.rtf
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imitazionecristo.zip
In agro domenico - Bolla di condanna contro Meister Eckhart (Giovanni XXII)
Insegnamenti Spirituali di Giovanni della Croce
Intervista a Marco Vannini
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La dimensione mistica nell'esperienza psicoanalitica di Salvatore Freni
La generazione del logos - Marco Vannini
La gerarchia celeste (Dionigi Areopagita)
La mistica speculativa di Meister Eckhart (Alberto Gerosa)
La preghiera cosmica di Giovanni Vannucci (Roberto Taioli)
La preghiera nella riflessione di Romano Guardini (Roberto Taioli)
L'abbandono alla Provvidenza Divina" (Jean Pierre de Caussade)
lamessasulmondo.rtf
lapreghiera_origene.rtf
L'atto della conoscenza come ascesi della soggettività (Beppe Fragomeni)
Le piume del pavone. La politica secondo Margherita Porete (Luisa Muraro)
L'elogio del nulla in Christian Bobin (Roberto Taioli)
L'esperienza del non-sé (Bernadette Roberts)
Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana (Pietro Cantoni)
letterecarretto.rtf
lunionecondio_albertomagno.rtf
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Margherita Porete nella discussione filosofica di Michela Pereira
Margherita Porete: morire sul rogo per aver scritto un libro (Iceblues)
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Misticismo e Alchimia in Jacob Boehme
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Piccola antologia tematica dagli scritti di Meister Eckhart
Prediche di Eckhart
Racconti di un pellegrino russo
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Salvezza attraverso l'esperienza della morte - Celestino Cavagna
Scritti minori di Giovanni della Croce
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Soliloqui sul Divino (Giuseppe Barzaghi)
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Teologia mistica di Dionigi Areopagita
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Un bimbo è nato in noi, un figlio ci è stato dato” - La predica di Natale (Taulero)
Un rogo, una luce: Lo Specchio delle anime semplici di Margherita Porete (Giovanna Fozzer)
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